“O cagnacavalle”il cambiavalute a Napoli

Fino agli anni ’50 del secolo passato non era difficile trovare lungo le strade della città i banchetti dei “cagnacavalle“ (in italiano si traduce in “cambiacavalli“, ma non c’entra nulla con gli equini!), spesso ridotti a poco più di poche assi marce di legno cariche di monetine di qualsiasi nazionalità.

Erano infatti gli exchange del passato, che aspettavano gli stranieri per potersi arricchire cambiando poche monetine ad un tasso vantaggioso. Una cambiacavalli famosa? La mamma di Totò, il principe della risata: era famosa come “Nannina ‘a cagnacavalle

Il mestiere del cagnacavalle è antichissimo. D’altronde, per una città commerciale come Napoli, il problema del cambio delle valute era fondamentale per poter svolgere scambi con i mercanti stranieri. Possiamo però dire con una buona dose di sicurezza che i primi banchetti cominciarono ad apparire stabilmente a partire dall’epoca di Alfonso d’Aragona che intensificò molto i rapporti fra Napoli e la Catalogna.

L’etimologia della parola, d’altro canto, viene dall’unione del verbo “cambiare” e dal sostantivo “cavallo“, che era una moneta antica napoletana raffigurante l’effigie di un cavallo

La peculiarità del mestiere dell’ufficio di cambio dei tempi antichi è che era per lo più femminile. Ci vengono tramandate dagli autori antichi infatti le figure di donnone grosse, dal volto rozzo e provato dalla lunga vita passata seduta su cassette e banchetti ai lati delle strade. Spesso erano in compagnia del loro uomo o di un ragazzo di fiducia, non di rado affiliato alla malavita locale, che faceva da bodyguard.

Sul banchetto erano infatti esposte lunghissime pile di monetine straniere e, in quartieri poverissimi come il Porto, attiravano non pochi sguardi indiscreti. I furti però avvenivano in casi rarissimi, grazie proprio alla protezione di cui godevano queste persone. I clienti privilegiati erano chiaramente i forestieri giunti dai bastimenti che attraccavano al Porto di Napoli, inizialmente in cerca di affari. Poi, durante il XIX secolo, il Grand Tour fece la gioia di tutti i commercianti napoletani, che crearono una interessante economia attorno ai turisti che visitavano la città, fra le persone che copiavano i quadri di Pitloo e i cambiamonete. I tariffari di cambio seguivano invece criteri che oggi potremmo dire “di cartello”: anche se i governi, sin dal Medioevo, cercavano di dare delle valutazioni alle proprie monete, le cagnacavalle decidevano in modo abbastanza discrezionale i tassi di cambio, applicando in ogni caso una percentuale su ogni operazione svolta.

Non dobbiamo però immaginarci cambi di grandi somme di danaro, che si facevano di solito presso i banchi o gli istituti religiosi: le donne che svolgevano questo mestiere erano per lo più persone umilissime e raramente possedevano monete d’oro da poter cambiare, quindi scambiavano monete da passeggio, spesso necessarie per pagare i cocchieri: su operazioni di così modesta entità, però, era molto più facile arricchirsi senza dare nell’occhio o truffando l’improvvido turista. Chi aveva questo privilegio, di solito, le ostentava in una vetrina perché era abbastanza ricca da potersi permettere un piccolo basso in cui svolgere l’attività.

Una volta finita la giornata di lavoro, i soldi venivano raccolti in un panno e messi nelle parti intime per scoraggiare gli eventuali ladri, che avrebbero prima dovuto scontrarsi con un senso del pudore sentitissimo all’epoca.

Più in generale, le attività delle cagnacavalle che già di loro natura erano a metà fra il legale e l’illegale, sfociavano spesso nell’usura.
Le cagnacavalle più ricche, infatti, cominciavano inizialmente a prestare piccole cifre, poi diventavano veri e propri banchi di pegno, che esercitavano uno dei più atroci e infami mestieri della Storia. Questa figura rimase perfettamente cristallizzata per secoli nei suoi gesti, nel suo gergo professionale ed addirittura nella sua figura stereotipata della donna grassa e rozza dietro al banchetto. L’ultima volta nella Storia in cui la ritroviamo è negli anni della Guerra: ‘e cagnacavalle erano infatti quelle donne che, in una Napoli ridotta in macerie, scambiavano i dollari dei soldati americani con le poche lire di cui avevano disponibilità. I famosi cavalli, infatti, non esistevano più da un secolo.

articolo di Chiara Sarracino

Si è parlato della moneta napoletana da 1 Cavallo e ve ne mostro una:

Cavallo: Ferdinando I d´Aragona (1458-1494) Zecca di Napoli.Rame.

Dritto/ Busto giovanile a destra

Rovescio/ Cavallo a destra.; sotto l’addome del cavallo, lettera I(iniziale del Maestro di Zecca Jacopo Cotrullo).

Riferimenti bibliografici: Pannuti e Riccio 45a; Monete Italiane Regionali 84/16